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Sogni e sensazioni.

Anna Rossi

Ciao, di professione sono un'insegnante della scuola primaria, nonché mamma e moglie a tempo pieno.
Mi piace scrivere e far conoscere agli altri le mie Sensazioni ed i miei Sogni, cerco di fare ciò, nella musicalità poetica, ed avendo come obiettivo principale la trasmissione delle mie emozioni, ... (continua)


Anna Rossi

Anna Rossi
 Le sue poesie

La prima poesia pubblicata:
 
Sorella Morte (15/09/2012)

L'ultima poesia pubblicata:
 
Anima infelice (04/09/2022)

La poesia più letta:
 
Gemiti d'amore (31/10/2015, 10412 letture)

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Storia di paese (La vita spezzata) 22 episodio

Fantasy

Prese una decisione avrebbe fatto avere la chiave a Biagio, cosicchè una volta ottenuto ciò che gli premeva sperava che l’ avrebbe lasciata in pace. Poteva dirlo a Nino ma aveva paura di coinvolgerlo di più in questa brutta storia. Forse c’ era una persona a cui chiedere aiuto anche se a malincuore, al barone, suo padre ma già mentre pensava a questa soluzione la escluse nel modo più categorico. Gli avrebbe dovuto raccontare ogni cosa e non se la sentiva di ritornare sull’ argomento in quanto non solo le procurava tanto dolore ma voleva che tutto l’ accaduto fosse seppellito, rispettando così la promessa fatta a donna Lucia, in cambio dell’ aiuto per ritrovare la piccola.

Nonostante il solo pensiero di rincontrare Biagio le metteva un’ angoscia devastante, non le restava che occuparsene di persona. Doveva farsi coraggio, anche questa volta, doveva affrontare con determinazione l’ ennesima prova che la vita le poneva davanti.

Doveva fare tutto da sola e di nascosto, non poteva raccontare a Nino ciò che intendeva fare e che nel frattempo aveva trovato la lettera, sicuramente le avrebbe impedito di andare all’ incontro con Biagio. Comunque decise di dormirci su e disse fra sé: “ Si dici chi a notti purta cunsigghiu, o noni? Aspettu a rumani si jè vì eru…”

Mentre stava facendo tutte queste congetture sul da farsi, sentì la madre che la chiamava: ” Rusalia scì nni ri sutta ca ti vogghiunu…”

Lei rispose:” E cu jè?”

Tutuccia: ” I carabbineri…”

” E Ù ora chi vogghiunu chisti.”

Li trovò in cucina in compagnia di Assuntina e Totuccia, il maresciallo Calogero ed il suo subalterno, il tenente Costa. Assuntina li aveva fatti accomodare offrendogli un caffè mentre aspettavano che Rosalia scendesse. Appena videro la ragazza si alzarono in segno di rispetto e poi Calogero le disse:” Nun vi scantati, semu ca sulu picchì avemu saputu chi eravu assà i amica ri Saro u sartu, chiddu chi hannu ammazzatu.”

Rosalia: “ E iu nzoccu vi pozzu diri, nun sacciu nenti… Iu canù scivu a Saro ma ri à utru nun sacciu.”

Calogero: ” Eppure c’è ‘ na fimmina chi dici chi vuatri sapiti cu l’ avi ammazzatu.”

Rosalia sapeva chi era la donna di cui parlava il maresciallo, non poteva essere altri che Ninetta e piena di rabbia, rispose: “ Hannu dittu mali a vuatri, iu a Saro u haju vì riri da ‘ na vituzza.”

Calogero: ” Si dici chi Saro avi litigato cu u stranieru chi sta unni Nanna Cetta, lu canusciti?”

Il forestiero a cui si riferivano i carabinieri era Biagio, Nino l’ aveva informata che stava alloggiato lì e adesso non sapeva cosa rispondere, se avesse detto la verità avrebbero pensato che c’ entrasse anche lei con l’ omicidio, d’ altra parte se ometteva di conoscerlo, avrebbero indagato e scoperto sicuramente che lei a Catania era stata ospite in casa sua.

Decise di mentire, negando di sapere chi fosse l’ uomo venuto da lontano: “ Iu nun canusciu nuddu.”

Il maresciallo capì che non avrebbe cavato un ragno dal buco, quindi le disse: “ Più ù ora ni annamu ma po’ è ssiri chi ci rivedremo prestu, grazzi pi lu cafè.”

Una volta sole le tre donne cominciarono a farsi domande, Totuccia chiese alla figlia se avesse idea di chi poteva aver mandato i carabinieri da lei.

Rosalia: “ E cu po’ è ssiri statu? Ninetta, chidda fimmina odia a meu.”

La madre disperata esclamò: “ Quannu spuntari tutte chiste dogghie (dolori)? Matri Santa raccumannu a vuà tri cu ci voli mali.”

A Totuccia la visita dei carabinieri l’ aveva turbata molto, anche perché era certa che la figlia non fosse stata del tutto sincera e poi chi era il forestiero di cui parlava il maresciallo? Doveva scoprire tutto ciò che la turbava e forse sapeva anche chi poteva aiutarla, Munidda la tata. Questa aveva naso e orecchi dappertutto e soprattutto, siccome molti paesani andavano da lei per chiedere aiuto e le confidavano i loro segreti più intimi, poteva essere la persona giusta.

Attese la sera che tutti si fossero addormentati e poi uscì, nonostante era una notte senza luna ed era difficile incamminarsi, sentiva la paura crescere ed il battito del cuore aumentare d’ intensità, camminava a passo spedito guardandosi intorno quando la sua paura si materializzò, un uomo gli si parò davanti, lei cercò di scappare, correva fra i campi, inciampando e rialzandosi per poi velocemente riprendere la fuga, quando dopo l’ ennesima caduta, un fendente sferrato con una violenza inaudita gli si conficcò in un fianco. Si toccò, il sangue sgorgava incessantemente, si accasciò dal dolore, ma questo non si impietosì, anzi, vedendola a terra quasi priva di vita, gli conficcò la lama di uno stiletto dritto nel cuore… poi un attimo prima di chiudere gli occhi per sempre, le apparve Rosalia con la piccolina e un timido sorriso apparve sulle sue labbra divenute viola scuro.

Nella cascina la notte trascorse come sempre, ignari di quello che era successo, Assuntina come sempre si alzò all’ alba per accudire gli animali, Rosalia con la piccolina dormiva tranquillamente. Il cielo era minaccioso, grosse nubi nere si avvicinavano e un vento di scirocco smuoveva gli alberi in fiore, spruzzando i petali e coprendo di bianco il giardino. Assuntina disse fra sé: “ Si nun si carma u vientu, nun manciamu fruttu chisti annu.”

Poi rientrando in casa si accorse che ancora Totucia non si era alzata, pensò che fosse molto strano e decise di andare nella sua camera per vedere se stesse bene.

Bussò più volte ma non ebbe risposta, allora entrò e vedendo il letto ancora intatto fu presa dal panico: ” Unni si finita soru mo?”

Svegliò a Rosalia: “ Rusalia, ghisati (alzati), to matri nun esti intra a camira so…”

Lei ancora stordita dal sonno le disse: “ Sarrà fù ora…”

La zia: “ Fù ora ca avanti nun cc’è. E nun avi dormito ca astanotti.”

A quella notizia Rosalia avvertì come un pugno nello stomaco, e una brutta sensazione come un grande vuoto intorno a sé: “ Zia nun vi arenziati (preoccupate) chi ù ora vaiu iu fù ora pi cercarla, vuatri taliati (guardate) la picciridda.”

Detto questo si vestì frettolosamente ed iniziò a cercare la madre.

Totuccia nella sua disperata corsa per sfuggire al suo assassino si era allontanata dalla strada principale finendo in un campo di proprietà del barone, e il destino volle che a trovare il suo corpo fu proprio Don Vincenzo.

Di buon mattino, questi era solito fare una passeggiata a cavallo per i campi, sia per controllare le coltivazioni, sia perché era un’ abitudine che aveva acquisito da suo padre quando era ancora un bambino e lo portava con sé nella grande tenuta.

Per l’ appunto anche quel giorno, dopo aver visionato la parte superiore dove c’ erano gli agrumeti era sceso giù lungo il torrente, aveva percorso solo un breve tratto quando la sua attenzione fu catturata da qualcosa che si trovava fra i cespugli di eliche, per terra nascosta c’ era una sagoma… Si affrettò a galoppo dirigendosi verso quella direzione.

Riconobbe subito quel corpo martoriato, lo avrebbe riconosciuto anche fra mille, il suo cuore smise di battere per un istante, scese da cavallo come impazzito, si avvicinò urlando il suo nome: “ Totuccia… Totuccia vituzza mo… vituzza mo… chi ti ficiru…”

Intanto le accarezzava i capelli e quel viso sul quale era sceso per sempre il buio eterno… Poi la strinse a sé imbrattandosi tutto con il suo sangue e restò così immobile, con la sua immane disperazione. Intanto iniziavano ad arrivare i braccianti per il lavoro e videro il barone curvo su quel corpo, si guardarono stupiti poi chiesero: ” Don Lenzu, cù osa jè successu? Ma jè Totuccia…”

Lui non rispondeva allora quelli insistettero: ” Don Lenzu… Don Lenzu chi accadde…?”

Finalmente riuscì a parlare:” Hannu ammazzata… iu issa l’ avi attruvata ca accussì…”

Uno esclamò: ” O Maronna Biniditta chi fu? “

Rispose il barone: ” Nun lu sacciu..”

Il pensiero ora andò a Rosalia: ” Povera figghia mo, ù ora macari chistu duluri…” Lo aiutarono a caricare il corpo sul cavallo e poi lo seguirono fino alla cascina.

Rosalia non aveva trovato la madre da nessuna parte, quando vide arrivare Don Vincenzo a cavallo seguito da altri uomini. Stava portando un corpo, gli andò incontro correndo, poi si fermò pietrificata, Totuccia era lì, immobile piena di sangue… si accasciò a terra urlando: ” Matri mo bì edda, matri mo… Noooo, nun jè vì eru, pi amuri ri Diu, parra cu meu… Sunnu Rusalia, to figghia…”

Un uomo cercò di aiutarla ad alzarsi ma lei non volle, inginocchiata guardava la madre e urlava mentre un pianto incontrollabile la scuoteva tutta. Il padre sconvolto voleva abbracciarla ma non poteva, gli altri non sapevano che quella ragazza disperata era sua figlia.

Nel frattempo Assuntina aveva appena finito di imboccare la piccola quando sentì quelle urla strazianti, corse fuori con la bambina in braccio e davanti ai suoi occhi le apparve una scena terribile, che non avrebbe mai più scordato. Don Vincenzo portava il corpo di Totuccia in braccio, la nipote continuava ad urlare ed il suo viso era diventato una maschera di dolore.

In quel frangente Nino non c’ era, si era recato in un paese vicino, dove il primo giorno di ogni mese si svolgeva una fiera in cui si vendeva bestiame. E Assuntina l’ aveva mandato a comprare un’ asina, che le serviva per il latte da dare alla figlia di Rosalia, essendo il latte d’ asina più digeribile e più nutriente, anche perché la bambina aveva problemi con quello di mucca.

Assuntina avendo la bambina in braccio cercò di non spaventarla ancora di più in quanto la piccolina, alla vista della madre in lacrime, si mise a piangere anche lei, quindi facendosi forza, fece strada al barone in casa e poi adagiarono Totuccia sul letto.

Era lì coperta di sangue, rigida e fredda… il viso si era rasserenato perdendosi per sempre in un sonno senza risveglio. Assuntina e Rosalia la fissavano, incredule… le loro menti erano sconvolte e mille domande si mescolavano in testa senza alcuna risposta.

Che cosa ci faceva Totuccia fuori di notte, e chi era stato a porre fine alla sua vita in un modo così orrendo e crudele? E poi che c’ entrava Don Vincenzo? Come mai l’ aveva trovata prorio lui?

All’ improvviso Assuntina gridò: ” Annati unni fuora a casa meo… Lassati a nuatri suli cu u nostru duluri.”

A testa bassa facendosi il segno della croce se ne andarono lentamente, ma prima Don Vincenzo si avvicinò alla morta e le diede un bacio: “ Cu tia sunnu mortu puru iu.”

Distrutte dal dolore, iniziarono a pulire la morta dal sangue, la lavarono per bene e poi Assuntina salì nella camera di Totuccia per trovare un abito da metterle. Nell’ armadio a muro c’ erano i suoi vestiti, tutti di colore nero, poi notò che in basso c’ era nascosto qualcosa, era avvolta in un lenzuolo ben piegato e con grande meraviglia vide che era un abito da sposa bianco. Lo riconobbe, era quello di nonna Concetta, Totuccia lo aveva conservato perché sperava di sposarsi ed avrebbe indossato proprio quel vestito.

Era della sua misura, Assuntina decise che quello era perfetto per l’ ultimo viaggio della sorella.

La vestirono, era bella con l’ abito da sposa e adagiata sul letto pareva dormire, Rosalia si inginocchiò accanto a lei accarezzandole il viso e con voce accorata iniziò: ” Iu aspettu a tia, aspettu a tia, matri meo, ‘ n momentu lu jornu, acciocchè iu diri a tia lu meu là stima (lamento), acciocchè diri a tia comu l’ avi passata. Iu aspettu a tia, matri meo, aspettu a tia, a li otto, e si viu chi tu nun veni ripoi accuminciu a cianciri. Iu aspettu a tia, matri meo, iu aspettu a tia a li novi, e si viu chi tu nun veni… iu annerirò comu fuligine. E si viu chi tu nun vé ni a li deci avi ri vì riri… a li deci sarrò addì vintata tè rra, tè rra tè rra ri siminari.”

Lo strazio che provava Assuntina nel vedere quella povera figlia afflitta era inimmaginabile, il suo cuore si era spezzato in mille pezzi e si sentiva impotente nel poterle dare conforto. Lei aveva vissuto una vita insieme a quella sorella disgraziata e si era comportata da mamma nei suoi confronti, essendo la sorella maggiore. L’ aveva protetta e difesa fino a quando aveva potuto ed ora gliela avevano ammazzata. Così si rivolse alla defunta dicendo: ” Tu pi mia si stata nun ‘ na soru ma ‘ na figghia… figghia mia bedda… Uò ra unni si? Cu ti aiuta? Li à ncili e a Maronna Biniditta…”

E continuò a parlare con lei per ore. Nel frattempo il barone era andato in questura per denunciare l’ assininio di Totuccia, il maresciallo, dopo averlo ascoltato si precipitò insieme ad altri due carabinieri alla cascina.

Intanto Assuntina disse a Rosalia: ” Uò ra avimu ri chiamari a Don Anselmo pi la prighera e u casciamurtaru…”

Rosalia era fuori di sé: “ Zia mia, nun avi bisognu ri casciamurtaru meo matri, picchì ù ora rù ormi, ntra picca si arruspigghiata e annamu a arricù ogghiri li partualli…”

Sentendola parlare in quel modo avvertì un brivido di freddo che le attraversò il corpo, la nipote sembrava avere perso la ragione, non accettava la morte della madre. Corse fuori e scoppiò in un pianto disperato, la trovò così Nino che era appena giunto dalla fiera, vedendola in quello stato si spaventò moltissimo pensando: “ E ù ora chi autru succediu?”

Assuntina gridando gli disse: ” Hannu ammazzatu a soru mia, Totuccia jè morta.”

Nino incredulo rispose: ” Ma chi stati a diri? “

Poi entrò di corsa in casa e trovò quello che non avrebbe mai voluto vedere, Totuccia distesa sul letto vestita da sposa ed ai suoi piedi, devastata dal dolore la sua Rosalia. Si fece il segno della croce e poi le si avvicinò cercando di sollevarla da terra, ma questa con gli occhi spenti lo guardò e gli disse: “ Mi aviri lassari accussì, picchì quannu si arruspigghiata mi devi attruvari ca.”

Nino vista la grave situazione la prese di peso: ” Uò ra vè ni cu mia…”

E la portò di sopra, dove la piccola dormiva ignara di tutto quello che stava accadendo. Nino le disse: “ Viri cu c’è, to figghia e tia a stari beni pi idda, chistu avirrissi voluto to matri…”

Rosalia si strinse a Nino e pianse tutte le lacrime che aveva, infine dopo essersi sfogata e svuotata da ogni forza, sembrava essere diventata una statua di marmo, si vestì a lutto dalla testa ai piedi e con il viso pallido da far paura, impassabile senza alcuna emozione, scese giù dove c’ era Totuccia. Intanto Assuntina aveva fatto chiamare Don Anselmo e il becchino. Arrivarono quasi contemporaneamente, il sacerdote era visibilmente commosso, quella famiglia ne aveva passate così tante e ora anche la tragica morte di Totuccia, era troppo e questa volta anche se era quasi una bestemmia si rivolse a Dio: ” Signuri, mo u sacciu chi staiu pi piccari, ma nun ti abbastava tuttu chiddu chi chista puvuredda genti avi passatu… pirdunami ma sunnu ‘ n omo puri iu.”

Poi si avvicinò ad Assuntina e Rosalia e le disse: ” Fatevi fù orza, u Signuri jè cu vuatri.”

Il becchino, di nome Binuzzu, era un uomo non più giovane ma ancora in forza per poter lavorare, era molto alto e con le spalle larghe e per lui non fu un problema prendere da solo il corpo di Totuccia e sistemarlo nella bara di ebano. Assuntina gli disse: “ U tabbuto avi esseri lu chiu lì sciu e beddu chi aviti.”

Binuzzu: ” Pi chistu a vuatri purtai chiddu chi viditi… Jè lu megghiu.”

Preparò la camera ardente, al muro un drappeggio nero ed ai lati della bara due grandi ceri, poi sistemarono intorno delle sedie per chi avesse voluto dare l’ ultimo saluto alla defunta. Difatti, presto iniziarono ad arrivare molti paesani per rendere omaggio a Totuccia, la notizia della sua morte come era prevedibile in un piccolo paese come quello, si era duffusa rapidamente. Le donne vestite di nero si accomodarono intorno al feretro e gli uomini com’ era consuetudine si erano collocati fuori a parlare con altri, a fumare e a sorvegliare l’ ingresso. Alcune di queste comari, iniziarono a piangere e urlare: ” Figghia mia, chi ti ficiru… maliditta sfortuna… o malidittu iddu ca fu… e figghiaaaaa mia… chi ti ficiru….figghiaaaaa.”

E poi le strette di mano e le condoglianze, qualcuno poi domandava: ” Commu fu… ma cchi ci rissiru… ma quant’ era bedda…“

Rosalia seduta accanto alla madre non le staccava gli occhi di dosso e continuava ad accarezzarla, dicendole: ” ‘ N à utru picca ti arrispigghi nun jè vì eru matri mo? Nun mi po’ lassari sula… Chi fazzu iu di la vituzza mo sì enza ri te, anima mo.”

Mentre c’ era un andirivieni di persone che arrivavano e se ne andavano, giunsero anche i carabinieri, si rivolsero ad Assuntina: ” Sapemu chi nun jè momentu ma si vè niti ddabbana, cam’ a fari a vuatri quà lchi dimanna.”

Questa piena di livore si rivolse a loro in malo modo: ” Accussì difendete a poveredda genti? C’è ‘ n omicidiu lì bbiru chi ammazza li cristiani, e vuatri chi faciti?”

Il maresciallo non le rispose sapeva che era il dolore che la faceva parlare in quel modo, poi iniziò a farle domande sulla sorella, se sapeva perché si trovava lì a quell’ ora di notte, se aveva visto o sentito qualcuno o qualcosa. Inoltre le disse che dovevano prendere il corpo di Totuccia per fare l’ autopsia come avevano fatto a Saro. A questa richiesta Assuntina urlò: ” A soru mia ri ccà nun si movi, nun vogghiu chi a faciti a pezzi.”

Calogero non la poteva forzare, questa doveva essere una decisione che dovevano prendere i familiari… quindi non gli restò che accettare la sua volontà. Se ne andò senza aver saputo niente di utile per l’ indagine, ma era certo che i due omicidi erano in qualche modo collegati.


Anna Rossi 02/05/2021 06:58 1 534

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.

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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Il destino continua a perseguitare la povera Rosalia... Una morte sicuramente inaspettata... Una delle protagoniste di questa storia esce di scena... l’autrice ha deciso di fare morire la povera Totuccia... una tragica morte che spiazza il lettore... La povera Rosalia, tra le tante disgrazie, si ritrova senza la madre... Ma quando arriverà un po’ di serenità per questa povera ragazza?
A questo punto cresce la curiosità...»
Giacomo Scimonelli

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Non mi sarei mai aspettato una fine così tragica (Giacomo Scimonelli)

per Totuccia ... (Giacomo Scimonelli)

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coinvolgere il lettore... B R A V I S S I M A (Giacomo Scimonelli)



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Una storia di paese (La fermata sbagliata)
Una storia di paese
Senza passato
Un incontro inaspettato
Una famiglia ingombrante
Voglia di favole
Un giorno da uomo
Le burla di Cappuccetto Rosso
Paura del buio
Condannata
Una sera d' autunno
Artefice della propria vita
La svampita
Scene di un matrimonio
Un castello di bugie
La beffa del destino
Il violinista
Cuore di latta
Basta crederci!
La goccia
Un cuore di fanciulla
Un'incredibile storia
Un vecchio libro di fiabe
Il Monte Reventino
Il racconto di Neve
Giallo e Thriller
L'insospettabile
Uno scomodo passato
Ragazzi
Piccola storia
Jack il leprotto coraggioso
Sociale e Cronaca
La fuga
Voglia di volare
Senza maschere
L'imprevisto
Palla di lardo
Diagnosi sbagliata


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